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- Fratel MichaelDavidedi Mario Bonanno - 20-02-2012
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C’è in giro un saggio che rema in controtendenza rispetto al trend superomistico e alla morte di Dio. Si intitola “Caro Giobbe” (Fratel MichaelDavide, Edizioni La Meridiana, 2012) ed è un volumetto spurio - un po’ commento esegetico del celebre libro della Bibbia, un po’ pamphlet introspettivo, un po’ antologia di riflessioni sul tema impopolare e rimosso della sofferenza. E’ soprattutto in questa accezione che la figura di Giobbe può essere posta a contraltare del Narciso contemporaneo, paradigma di sottomissione al volere divino, pre-testo per un discorso sull’uomo e sul mondo (nella fattispecie sviluppato in 43 lettere-capitoli).

Non si pensi però a una trattazione apologetica, appannaggio esclusivo di uomini e donne di qualche fede. Ciò che più mi è rimasto impresso di questo libro (cui mi sono avvicinato da agnostico, incuriosito dalla metafisica) è infatti il senso propedeutico di umiltà, di ridimensionamento egocentrico che traspare dalle sue pagine. Una diversa collocazione/prospettiva ontologica che - a prescindere dall’essere o meno credenti - trovo salutare e non lesivo della dignità intrinseca all’essere-uomo. Quello prospettato da Fratel MichaelDavid in queste pagine, pur al cospetto della sofferenza, parrebbe semmai un possibile percorso verso l’autentico, un recupero della dimensione interiore, che non può non passare anche dall’accettazione dei propri rovesci, dei propri limiti, in ultimo della propria finitudine.

“Caro Giobbe” è dunque, per molti aspetti, un libro sapienziale, che muove dalle sollecitazioni proposte dalla figura biblica di Giobbe (dignità, tolleranza, libertà, crescita, fiducia) e, in accezione traslata, raffigura lucidamente la perenne ambivalenza dell’essere umano, il suo costante dibattersi fra cielo e terra, ascesi e caduta, pazienza e insofferenza. Seguono alcune parole di Fratel MichaelDavide che mi sembrano esplicitare bene alcuni degli stimoli racchiusi in questo libro:

“…Giobbe carissimo (...) davanti alla ribellione della tua stessa intimità, al rivoltarsi della tua stessa carne sei stato “uomo” fino in fondo, fino alla feccia: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?” (2, 10). Costosissima domanda questa che, in realtà, è una preziosissima risposta ad ogni interrogativo su Dio e sull’uomo: non un Dio funzionale, ma un Dio la cui esistenza – al di là di ciò che mi dà o mi toglie – è più preziosa della stessa vita”.
Certo il presupposto della fede, se non proprio decisivo, risulta, in molti casi, aiutare non poco.
Sono bellissimo...
Administrafan