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Issi lo stato che minaccia il mondo

Ultimo Aggiornamento: 02/03/2015 00:12
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ISIS
(ANSA) - ROMA, 21 FEB - LORETTA NAPOLEONI, ISIS LO STATO DEL TERRORE (FELTRINELLI, PP. 118, EURO 13,00). "Per la prima volta dalla fine della prima guerra mondiale un'organizzazione armata sta ridisegnando la mappa del Medio Oriente tracciata dai francesi. Oggi la bandiera nera e dorata dell'Isis sventola su un territorio, più vasto del Regno Unito o del Texas, che va dalla sponda mediterranea della Siria fino al cuore dell'Iraq: l'area tribale sunnita. Una regione nota come il Califfato, denominazione che aveva cessato di esistere dal 1924, dopo la dissoluzione dell'Impero Ottomano per mano di Ataturk". Loretta Napoleoni, economista, analista politica ed esperta di finanziamento di gruppi terroristici, racconta da dove viene la minaccia più pericolosa per l'Occidente dai tempi dell'11 settembre, analizzando il terreno di coltura che ha fatto nascere lo Stato islamico e che lo ha portato fino alla Libia, pericolosamente vicino alle nostre coste.
    La novità, rispetto al terrorismo di al Qaida, è che lo "Stato Islamico sta diffondendo un potente, in parte positivo, messaggio del ritorno del Califfato, età dell'oro dell'Islam, in un momento di grande stabilizzazione del Medio Oriente con Siria e Iraq in fiamme, la Libia sull'orlo di un nuovo conflitto tribale, l'Egitto dominato dall'esercito e Israele ancora ai ferri corti con i palestinesi". E "come Israele per gli ebrei, la rifondazione di un forte Stato islamico nella terra degli antenati rappresenta per i musulmani la salvezza in questa vita". Non solo quindi la promessa del Paradiso, come nel caso dei seguaci di Osama bin Laden.
    Napoleoni sottolinea il "pragmatismo e la modernità" dell'Isis. Nel suo primo discorso in veste di nuovo califfo, al Baghdadi si è impegnato a restituire "dignità, potenza e diritti del glorioso passato ai musulmani e mentre parlava una schiera traduttori in tutto il mondo diffondeva il testo quasi in tempo reale, sui siti jihadisti e attraverso Facebook e Twitter, in numerose lingue, tra cui inglese, francese e tedesco": un messaggio "seducente" anche per chi vive all'estero, giovani musulmani europei e americani "che lottano per integrarsi in una società occidentale che offre sempre meno opportunità ai giovani". Ma l'Isis è andato anche "al di là della mitologia dei gruppi jihadisti con un progetto concreto: "ha privatizzato il business del terrorismo, conquistando l'indipendenza dagli sponsor e istituendo un sistema economico che non dipenda esclusivamente dalle economie di guerra. Ha creato partnership con tribù sunnite locali per prevenire l'opposizione e spartire le entrare generate dallo sfruttamento di risorse chiave". I suoi militanti "riparano le strade, gestiscono uffici postali, installano linee elettriche, aiutano gli agricoltori". E' stato "saggio e intelligente, cosa che non si può dire di Assad o di al Maliki", che alla guida della Siria e dell'Iraq hanno incarnato una dittatura settaria che ha messo i sunniti, la stragrande maggioranza dei musulmani, nell'angolo.
    Il libro chiama in causa anche l'Occidente, che non ha saputo leggere in tempo questo fenomeno, e anzi ha contribuito a crearlo, sostenendo regimi mediorientali corrotti e lontani dalle esigenze dei loro popoli. Così, "dopo decenni di guerra e distruzione, gli arabi sunniti e i musulmani vogliono disperatamente credere che finalmente dalle ceneri di un mondo scomparso da tempo, sia nata una magnifica fenice, ossia uno Stato e un leader che li liberi. E' al Baghdadi questo leader e il Califfato è questo Stato? L'occidente e il mondo credono fortemente di no, ma solo il popolo del Medio Oriente potrà dare, a suo tempo, la risposta giusta". (ANSA).
[Modificato da Giordy71@ 22/02/2015 01:50]
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"Con le mani sul grilletto, stiamo arrivando a Roma": l'ultima minaccia propagandista dell'Isis diretta all'Italia arriva da un account Twitter legato ai jihadisti libici. Poi due foto: la prima ritrae un combattente armato, davanti al mare, che guarda il Colosseo sullo sfondo. Sul monumento sventola la bandiera nera di al Baghdadi. Una scritta recita l'Isis "dalla Libia sta arrivando a Roma".
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Nella seconda invece è disegnato il gasdotto Greenstream che da Wafa in Libia arriva a Gela, in Sicilia. Si tratta di una delle principali linee di rifornimento energetico dell'Italia.

Le minacce

"Le onde ancora ci separano, ma questo è un mare piccolo, è una promessa al nostro Profeta", minaccia il comunicato allegato ai nuovi proclami Isis: "State attenti, ogni stupido passo vi costerà caro", si afferma forse in riferimento al ruolo guida che l'Italia vuole giocare per la stabilizzazione della Libia. "Ogni stupido passo incendierà tutto il Mediterraneo", si prosegue citando tutti i Paesi confinanti, dalla Tunisia all'Egitto. E ancora attacchi, "siete i cani da guardia" dei Paesi arabi, riferimento a punizioni e torture. Si cita anche Omar al-Mukhtar, l'eroe libico della resistenza anti-italiana negli Anni 20 del secolo scorso.

Nel mirino di Anonymous

L'account jihadista che ha pubblicato foto e comunicato è inserito nella "lista nera" del collettivo Anonymous, che all'indomani della strage di Parigi nell'attacco a Charlie Hebdo, ha lanciato #OpIsis per "spegnere" il network online dello Stato islamico. Centinaia gli account sui social network oscurati o "messi a nudo", cosi' come decine di siti web o indirizzi di posta.



Bandiera nera sul Colosseo

Difficile stabilire se l'ultima "sparata" mediatica sia collegabile a minacce precise e concrete. È la prima volta che nella propaganda jihadista la bandiera nera viene issata sul Colosseo invece che non sul Vaticano, tradizionale 'bersaglio' dell'Isis. Ed è accertato che da settembre a oggi, il termine "Rum", con cui i seguaci di Baghdadi indicavano secondo la tradizione musulmana l'antica Costantinopoli, ha effettivamente cambiato senso.

Dalle minacce del portavoce Isis Adnani, lo scorso settembre, la propaganda dello Stato islamico parla concretamente della Città Eterna, cuore cristiano d'Europa e sede del Vaticano.

I prigionieri in gabbia

La propaganda dell'Isis è tornata anche a diffondere immagini dei prigionieri degli jihadisti, stavolta 21 peshmerga curdi rinchiusi in gabbie e fatti sfilare in parata per le vie di una città della provincia di Kirkuk, in Iraq. Il video, rilanciato dal sito di intelligence Site, mostra i pehmerga con le famigerate tute arancioni mentre vengono interrogati da dietro le sbarre da un comandante, apparentemente anche lui curdo. Le gabbie dei peshmerga, che ricordano quella in cui fu arso vivo il pilota giordano Muadh al-Kasasbeh, vengono poi caricate a bordo di pickup e fatte sfilare come una gogna per le strade della città, davanti a una folla eccitata. Il filmato sembra il preludio a una nuova esecuzione di massa, ma le immagini si interrompono prima che si possa vedere cosa accade ai prigionieri
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22/02/2015 01:46
 
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Gli esperti Usa: "È un falso il video dell'Isis sull'uccisione dei 21 copti"
La tv americana Fox ha fatto analizzare il filmato a un gruppo di esperti: sollevate "evidenti manipolazioni". Dove finisce la propaganda e inizia la verità?


Sergio Rame - Dom, 22/02/2015 - 12:31
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Il video della sanguinaria decapitazione di massa sulle spiagge libiche è un falso? Oppure dobbiamo avere realmente paura della brutalità dei jihadisti del Califfato nero? Come accade ogni volta che l'Isis pubblica online un video, il filmato viene analizzato a fondo dai servizi segreti.


Quello che mostra la decapitazione di 21 cristiani copti in Libia è stato studiato anche dalla televisione americana Fox che lo ha fatto analizzare da alcuni esperti. La conclusione è che è stato manipolato. Il "regista", però, ha commesso vistosi errori che non sono passati inosservati.

Libia, jihadisti dell'Isis decapitano 21 cristiani copti
 
Pubblica sul tuo sito
Secondo Veryan Khan, responsabile del Terrorism Research & Analysis Consortium (Trac), il boia, che in inglese minaccia l'Occidente e recita i "capi di accusa" contro i cristiani copti, sarebbe "troppo grande rispetto alla sfondo". La testa, in modo particolare, non sarebbe proporzionata rispetto al resto della scena. Anche le proporzioni dei miliziani, che stanno in piedi alle spalle delle vittime, sarebbero completamente sballate: è come se fossero stati alti 2 metri. In secondo luogo, a Khan non torna il rumore del mare in sottofondo perché troppo simile a "una colonna sonora conosciuta e usata in molti filmati". Secondo Mary Lambert, anche il sangue sarebbe un clamoroso falso realizzato con l’aiuto di un computer. Gli analisti di Trac hanno fatto notare che "il sangue che sgorga da una ferita ha un colore molto più scuro di quello visto nella fase dello sgozzamento".

Libia, jihadisti dell'Isis decapitano i cristiani copti

A cosa sarebbero serviti tutti questo effetti speciali? Cosa nasconde veramente il video pubblicato dall'Isis in rete e subito denunciato da Site, il sito che monitora il jihadismo mondiale? Secondo la Lambert, sulla spiaggia non erano presenti più di sei persone. Tutte le altre sarebbero state aggiunte col rotoscoping, una tecnica solitamente usata in animazione per creare un cartone animato in cui le figure umane risultino realistiche. I miliziani dello Stato islamico avrebbero, dunque girato la scena in un luogo che, in un secondo momento, è stato trasformato nella spiaggia libica? Difficile a dirsi. Per Khan, però, la tesi è avvalorata dal fatto che le proporzioni delle orme sulla sabbia sono sbagliate. Secondo Guido Olimpio del Corriere della Sera, i jihadisti sarebbero ricorsi a questi trucchetti per evitare di "essere scoperti da un drone o velivoli spia". Insomma, "uccidono gli ostaggi in un luogo coperto per poi creare la nuova scena nel deserto oppure sulla spiaggia". Se questo fosse vero, verrebbe pure a cadere la certezza che gli omicidi avvengono tutto nello stesso momento.
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http://www.panorama.it/news/esteri/isis-video-minacce-italia/
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L'ISIS MINACCIA ROMA? LA STAMPA USA: "ECCO COME REAGISCONO GLI ITALIANI"


 
L'Isis minaccia Roma? La stampa Usa: "Ecco come reagiscono gli italiani"
sabato 21 febbraio 2015, 16:28

WASHINGTON - «Le risposte italiane all'hashtag #We_Are_Coming_O_Rome travolgono i supporter dell'Isis». Il quotidiano americano Washington Post ha dedicato un articolo ai tweet ironici sulla minacciata invasione jihadista a Roma.



I tweet dei romani che ridono dell'Isis finiscono sul Washington Post

 
Battute sul traffico e sull'inefficienza dei trasporti, ma anche consigli su dove andare a mangiare. E' la replica «alla maniera dei romani» - scrive il giornale statunitense - all'hashtag con cui qualche attivista del Califfato ha annunciato una presunta invasione della Città Santa della cristianità. Tra i commenti citati, anche quelli che mettono a confronto un'eventuale conquista islamista alla devastazione provocata in città dai tifosi del Feyenoord. E l'articolo conclude: gli italiani saranno anche spaventati dagli avvertimenti apocalittici dello Stato islamico, ma nella loro vita quotidiana hanno molti altri problemi di cui preoccuparsi. [SM=g27985]
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L'Isis minaccia di arrivare a Roma? E gli italiani rispondono "alla romana". Al Washington Post non è sfuggita la lunghissima serie di battute su Twitter postate sotto l'hashtag "#We_Are_Coming_O_Rome" creato dai jihadisti. Ecco allora che tanti romani consigliano agli uomini del Califfo di non scegliere l'ora di punta per l'attacco: troppo alto il rischio di finire imbottigliati nel traffico del Grande Raccordo Anulare. E sotto l'immagine di un maxi-ingorgo si legge: "State arrivando a Roma....Siete sicuri?".
    In un altro tweet si rincara la dose: "Domani è sciopero dei mezzi pubblici. Buona fortuna!". Ma i jihadisti vengono anche messi in guardia dal prendere il treno: "Datemi retta. Sono sempre in ritardo". Oppure: "Se prendete l'autostrada ricordatevi pneumatici da neve e catene. Sennò vi sequestrano il carro armato". Qualcuno dà anche dei suggerimenti su dove gustare i piatti della tradizione romana: "Go to Eat at Gigi Er Puzzone". Mentre altri minacciano: "Vi combatteremo con zampone e cotechino". Insomma, anche così si esorcizza la preoccupazione. Anche se la battuta più amara è quella sotto una foto della Barcaccia di piazza di Spagna violata dai teppisti: "Purtroppo per l'Isis, i tifosi del Feyenoord sono arrivati prima". [SM=g27994] [SM=g28001]
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Isis
Sarebbe un tunisino di 36 anni, che ha vissuto tra Ravenna e Milano, e non un italiano, il foreign fighter ritratto nella foto di un 'tweet' con cui fonti curde davano notizia dell'uccisione di un combattente 'veneziano', tale 'Francesco', ad inizio febbraio in Siria. Alla probabile identificazione della persona ritratta nell'immagine si sarebbe giunti - spiegano fonti investigative - dopo una segnalazione fatta da una donna di Ravenna.
   
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Isis, nuove minacce all'Italia via Twitter: una bandiera che "svetta" sul Colosseo a Roma
22 Febbraio 2015

ROMA. Spunta anche un'immagine della bandiera nera dell'Isis sul Colosseo nell'ultima provocazione propagandistica dello Stato islamico. Su twitter un account affiliato all'Isis libico ha pubblicato tre giorni fa la foto di un jihadista armato, davanti al mare, che guarda il Colosseo sullo sfondo. Una scritta recita l'Isis "dalla Libia sta arrivando a Roma". L'account è nella 'lista nera' degli obiettivi di Anonymous, che ha lanciato un'operazione per 'spegnere' il network dei jihadisti.
Armi chimiche sono state trafugate da arsenali del regime di Muammar Gheddafi in province centrali e meridionali della Libia e a prenderle sono state "milizie" avversarie dell'esercito regolare libico: lo riferiscono "fonti militari" riportate dal sito di Asharq Al-Awsat, l'autorevole quotidiano panarabo basato a Londra. Il quantitativo trafugato non è noto, precisa il sito del quotidiano filo-saudita. Un "responsabile militare", sotto anonimato, ha detto all'Asharq Al-Awsat che "sfortunatamente" armi chimiche "esistono in luoghi noti alle milizie, le quali ne hanno preso grandi quantitativi per usarle nella loro guerra contro l'esercito". E gli arsenali segreti in Libia che contengono micidiali armi chimiche come "l'iprite e il gas nervino Sarin" "potrebbero cadere nelle mani dello Stato islamico", riferisce ancora Asharq Al-Awsat, citando un anonimo responsabile militare libico.
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Siria, a rischio la vita dei cristiani di 35 villaggi
Archimandrita, ucciso e martirizzato ragazzo 17 anni dall'Isis

Libia: parata Isis a Sirte il 18 febbraio © ANSA FOTO
Redazione ANSA
ROMA
24 febbraio 201521:14NEWS
Sono decine i cristiani assiri rapiti dall'Isis in villaggi nel Nord-Est della Siria, nella provincia di Al Hasakah, secondo quanto riferiscono oggi due ong. Nuri Kino, responsabile dell'organizzazione A Demand for Action (Adfa), che segue la situazione dei cristiani nel Paese, ha detto che secondo le sue informazioni gli ostaggi sono tra 70 e 100. L'Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) riferisce testimonianze in base alle quali i sequestrati sono 90, ridimensionando comunque precedenti stime.

A rischio la vita dei cristiani di 35 villaggi - I cristiani di trentacinque villaggi della Siria, rapiti dagli uomini dell'Isis, rischiano la vita. Presi in ostaggio nella regione del Khabour, forse per eventuali scambi di prigionieri, per decine di loro la sorte è appesa ad un filo. L'allarme arriva dalla Chiesa siriana che denuncia anche un "abbandono" da parte di chi sarebbe potuto intervenire e invece non lo ha fatto. Si conta già un morto: un ragazzo di 17 anni, Milad, che è stato martirizzato. Diverse chiese sono state date alle fiamme. Tra i villaggi colpiti ci sono quelli di Tal Hermez, Tal Shamiram, Tal Riman, Tal Nasra, al-Agibash, Toma Yalda e al-Haooz, nella zona di Hasaka, nell'estrempo nord-est della Siria. L'archimandrita Emanuel Youkhana ha spiegato, all'associazione 'Aiuto alla Chiesa che soffre', che i terroristi avrebbero scelto di attaccare la regione del Khabour perché sconfitti sull'altro fronte caldo, quello di Kobane, dai combattenti del Pyd (Democratic Union Kurdish Party). La battaglia è iniziata verso ieri, 23 febbraio, e in breve tempo i miliziani sono riusciti a penetrare nei primi due villaggi, facendo prigioniere decine di persone. "Fortunatamente circa 600 famiglie sono riuscite a fuggire verso Qamishly - riferisce l'archimandrita Youkhana - ma siamo preoccupati per la sorte di coloro che sono tenuti in ostaggio. Conosciamo bene i metodi barbari dell'Is: ciò che più conta per noi, adesso, è che queste persone siano liberate il prima possibile". Una accusa pesante nei confronti di chi non è intervenuto per tempo arriva invece da monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi. "Voglio dire chiaramente - riferisce l'arcivescovo a Fides - che abbiamo la sensazione di essere stati abbandonati nelle mani di quelli del Daesh (Isis, ndr). I bombardieri americani hanno sorvolato più volte l'area, ma non sono intervenuti. Abbiamo cento famiglie assire che hanno trovato rifugio ad Hassakè, ma non hanno ricevuto nessun aiuto dalla Mezzaluna Rossa e dagli organismi governativi siriani di assistenza, forse perché sono cristiani. Anche l'organismo per i rifugiati dell'Onu è latitante". La regione del Khabour conta 35 villaggi Cristiani. Sono abitati dagli Assiri che nell'agosto 1933 fuggirono dal massacro di Simele, commesso dalle forze armate dell'allora Regno d'Iraq e che provocò la morte di circa tremila persone. La speranza di queste famiglie era quella di tornare un giorno nella loro Patria, in Iraq.

Aisi, una dozzina foreign fighters italiani - Sono circa una dozzina i foreign fighters di nazionalità italiana, tra vivi e morti (è il caso del genovese Giuliano Delnevo, ucciso in Siria nel 2013). Complessivamente per l'Italia è passata circa una sessantina di combattenti andati nei teatri di guerra, la maggiora parte stranieri. Su di loro il monitoraggio è attento. Lo ha riferito - a quanto si apprende - il direttore dell'Aisi, Arturo Esposito - in audizione al Copasir. Esposito ha anche detto che non ci sono evidenze di terroristi infiltrati tra i migranti.
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Isis, Iraq lancia un’operazione
Aerei e artiglieria per liberare la città, in mano allo Stato islamico dal giugno dello scorso anno


L’esercito iracheno, appoggiato da combattenti sciiti e sunniti, ha dato il via ad una operazione militare su larga scala per riconquistare la città natale di Saddam Hussein, Tikrit,in mano all’ Isis dal giugno 2014: lo ha reso noto la tv statale irachena.




La roccaforte

Tikrit è una delle più importanti roccaforti dello Stato Islamico. Secondo fonti militari, le truppe regolari (circa 30mila uomini) appoggiate dai miliziani filogovernativi stanno avanzando «su tre principali fronti verso Tikrit, Ad-Dawr (verso il sud) e Al-Alam (a nord)». Le forze irachene, ha aggiunto la fonte, si stanno muovendo anche «lungo strade laterali per impedire di fuggire ai miliziani del Daesh (l’acronimo arabo, con cui vengono chiamati i miliziani dell’Isis), che controllano la città natale di Saddam Hussein da nove mesi.








Operazione ambiziosa

L’operazione è una delle più ambiziose avviate da Baghdad per espellere i miliziani dell’Isis dai territori conquistati all’inizio della scorsa estate. La campagna è stata ordinata nella notte dal premier e comandante generale delle Forze Armate irachene, Haider al-Abadi; ed è accompagnata da bombardamenti aerei. Ma non è chiaro se vi prendono parte anche caccia stranieri (iraniani o della coalizione internazionale a guida americana). Abadi ha chiesto alle truppe di fare attenzione ai civili: parlando da Samarra, la principale città della provincia di Salah al-Din, il premier è sembrato far riferimento ai timori di rappresaglie contro la popolazione sunnita dell’area di Tikrit: «La priorità che abbiamo dato alle forze armate e a tutte le forze che sono al loro fianco è di tutelare la sicurezza dei cittadini».




Trentamila soldati in campo

Partecipano all’operazione anche unità aeree e di artiglieria. Secondo la Bbc, il primo ministro Haider al-Abadi ha incontrato i leader militari nella provincia di Salah al-Din, dove le truppe e milizie stavano preparando l’attacco. Funzionari della sicurezza hanno riferito che all’operazione, lanciata all’alba, partecipano circa 30.000 soldati e combattenti alleati delle milizie sciite e delle Unità di mobilitazione popolare, con la copertura dei raid aerei di caccia iracheni. Nel corso dell’offensiva, le forze di sicurezza dovrebbero attaccare anche le città di al-Alam e al-Dur, con l’obiettivo di riportare tutta la provincia di Salah al-Din di nuovo sotto il controllo del governo.
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