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Angelo Vaira: “Cambio cane” non porta stress agli animali, ma è un’esperienza arricchente che apre loro la mente

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2012 10:18
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15/11/2012 10:18
 
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Il dog coach spiega il docu-reality
che ha scatenato le proteste
degli animalisti: «I problemi comportamentali del cane
nascono dalla insoddisfazione
dei suoi bisogni»

Tutto pronto per “Cambio cane”. Dal 30 novembre ogni venerdì alle 21:55 , su FoxLife (canale 114 di Sky) e prodotto da Stand by me (Simona Ercolani).
andrà in onda il programma che si ripromette di migliorare le relazioni fra cani e proprietari con un “metodo innovativo”: uno scambio di cane. Le due famiglie si scambieranno i quattro zampe per una settimana, con l’obiettivo che i proprietari imparino a relazionarsi secondo nuove modalità con l’animale. Premessa questa che ha scatenato le proteste e critiche degli animalisti che hanno accusato il programma di essere fonte di “stress di abbandono” e “violenza” per gli animali coinvolti. Non è però d’accordo Angelo Vaira, il dog coach protagonista di “Cambio cane”.

Il programma viene presentato come docu-reality. La domanda sorge spontanea: quanto c’è di documentario e quanto c’è di reality? Quanto l’esigenza televisiva incide sull’aspetto documentaristico?
«Il programma è del tutto veritiero. Io realmente vado da queste famiglie, che realmente si scambiano il cane, che realmente fanno coaching e c’è anche una verifica. E’ ovvio che noi siamo lì per una settimana e il tutto viene condensato in circa 45 minuti. A me piacerebbe far vedere una puntata di cinque giorni, ma mi dicono che non è possibile».

Come è nata l’idea di “cambio cane”?
«E’ nata parlandone con un amico con cui conduco un programma radiofonico. Io gli dicevo che mi sarebbe piaciuto fare un programma che permettesse di far emergere tutte quelle caratteristiche che ciascun quattro zampe ha. Lui ci ha pensato un po’ su e mi ha proposto di fare “Cambio cane”».

Il titolo ha fatto però rabbrividire molto animalisti...
«Io li capisco. Sono il primo ad amare i cani. Sono animalista da una vita. Si figuri che ho un cane disabile su un carrellino che ho raccolto sul ciglio di una strada, gestisco con la mia società la parte educativa del Parco Canile di Milano. Quindi quando mi hanno proposto questo programma mi sono detto “voglio approfondire”. D’altra parte questa era un’opportunità di mostrare dei metodi nuovi, non sottomissione, capobranco come spesso si vede, ma altri basati sull’empatia e cooperazione con l’animale».

Come è avvenuta la scelta delle famiglie?
«Mi sono messo a tavolino e ho buttato giù una serie di regole senza le quali non avrei fatto il programma. Regole così rigide che hanno portato a scegliere venti famiglie su 300 sottoposte a provini. Ogni famiglia, infatti, ha dovuto compilato un modulo con le caratteristiche dei loro cani, farsi riprendere in una serie di video che ho voluto vedere, e i familiari hanno dovuto prendersi una settimana di ferie per essere a disposizione del progetto»

E i cani?
«I quattrozampe devono avere una solida base psicologica. Possono avere tutti i problemi del mondo, ma non possono avere cose come iperattaccamento perché questo li porrebbe in una condizione dove la loro mente non apprenderebbe nulla o apprenderebbe in modo lento. In sintesi, il cane deve poter vivere bene questa esperienza».

Però non tutte le famiglie sono adatte a cani qualsiasi e e viceversa...
«Infatti, il passaggio successivo è la scelta del cane da scambiare. Bisogna trovare il cane che crei un’esperienza utile per la famiglia e viceversa. Nella prima puntata vedrà lo scambio fra un Chihuahua e un Border Collie. Il primo viene trattato dalla famiglia come se fosse un bambino. Però ormai dovremmo sapere che il Chihuahua solo apparentemente sta bene. La psicologia del cane è diversa da quella di un bambino: non va preso in braccio tutto il tempo, coccolato, magari vestito con abitini. Deve fare delle esperienze più da cane: giocare, esplorare. Quando la signora ha avuto a che fare con il Border Collie ha vissuto un’esperienza completamente diversa: l’ha portato a passeggio, anche con il guinzaglio più lungo, l’ha visto giocare con altri cani. Dall’altra parte il Chihuahua è passato da l’essere nevrotico a essere felice perché lasciato libero di fare il cane. In poco tempo si è sentito più sicuro, più rilassato, facendosi accarezzare dalle persone senza tentare di mordere».

Che cosa succede quando il cane torna nella propria famiglia? Torna a fare quello che faceva prima?
«E’ possibile che questo accada. Però non dobbiamo dimenticare che mentre il cane è in vacanza nell’altra famiglia, la sua di origine sta lavorando con il cane che “ha avuto in cambio”. Così quando il quattro zampe torna a casa sentirà la differenza rispetto a prima. Tra l’altro è capitata anche una cosa particolare: c’è un momento nel programma dove la famiglia vede un dvd sul come il proprio cane si comporta nell’altro nucleo famigliare. La signora del Chihuahua ha detto: “mi fa un effetto strano vedere il mio cane felice con degli estranei. Forse ho sottovalutato il suo lato emotivo”. Questo è quello che voglio che emerga nelle varie puntate: le dinamiche di comportamento. I problemi comportamentali del cane nascono dalla insoddisfazione dei suoi bisogni».

Quando si porta un cane in una pensione, è sempre meglio abituarlo all’ambiente dove dovrà rimanere per alcuni giorni. Forse lo spot del programma sottovaluta un po’ questo aspetto mostrando lo scambio dei due cani come se fosse normale per l’animale. Il rischio “reality” di un programma di questo tipo è duplice: chi non ha avuto un cane lo può vivere come se fosse una “puntata” della saga di Beethoven. Chi ama i cani come se fossero i propri figli, giusto o sbagliato che sia, come se fosse una violenza, con il trauma dell’abbandono per il cane...
«Una persona che conosce i cani, quando vede la trasmissione e legge i cani, perché è lui stesso a dirti se sta bene oppure no. Quando vedrete il programma e come sono stati questi cani tutto si potrà dire tranne che non siano stati felici, che non abbiano imparato qualcosa. E’ per questo che io aspetto solo che la gente lo veda. Io che faccio i conti con la mia coscienza dormo tranquillo perché so che cosa c’è dietro».

Come vengono preparati i cani?
«La prassi vorrebbe che il cane familiarizzasse con il nuovo ambiente. Però i cani hanno delle cose che si chiamano “ancoraggi”. Ogni cane ha la sua valigia dove mettere la sua copertina, la sua ciotola, i suoi giochi, tutti elementi che gli permettono di liberare endorfine, di stare meglio. Poi familiarizzano con me e con il mio collaboratore che starà nell’altra famiglia: ci passiamo almeno mezza giornata per fare lo screening e con loro ci lego tanto. Quando il cane entra nella nuova casa il tutto deve avvenire in una certa maniera, a partire dal far trovare loro gli “ancoraggi” di cui dicevamo.La differenza fondamentale, rispetto a lasciarlo in una pensione normale, è che ci sono dei professionisti che ne analizzano il comportamento. Perché un cane che prima mordeva, scappava se lasciato libero, appena trova un nuovo “proprietario” che si comporta diversamente, lo segue, socializza a tal punto che se una persona li vedesse per la prima volta potrebbe pensare che vivono insieme da tutta la vita? Questo è alla base di quello che io insegno: non è la questione del capobranco, sottomissione-dominanza. Neanche quelle situazioni dove ignorano i cani tutto il tempo e li premiano solo quando fanno bene. Il tutto è basato sull’empatia, su tecniche molto nuove che abbiamo elaborato per la prima volta in Italia e che stanno portando buoni risultati».

E se uno dei cani si trova così bene nella nuova famiglia da non voler tornare in quella di origine?
«E’ successa una cosa simpatica nell’ultima puntata che abbiamo girato. Un Jack Russell si è molto legato alla nuova famiglia. Terminata la settimana, il cane tirava il guinzaglio per andare dal capo famiglia. La proprietaria d’origine c’è rimasta male. Glielo fatto liberare per dimostrarle che non era così: il cane è andato dal signore, gli ha fatto le feste e poi è tornato dalla sua proprietaria. Adesso quel cane ha un legame in più. I cani quando possono vivere esperienze di questo tipo se ne tornano con una mente più elastica. Questo è il regalo che facciamo loro. Il tutto sempre monitorandoli: se il cane non si dovesse trovare bene perché abbiamo fatto degli errori di valutazione la puntata si bloccherebbe lì come è. E’ un potere contrattuale che ho nei confronti della produzione. Anzi, ho preteso anche che il regista e gli operatori facessero un corso di due giorni per evitare che venissero commessi errori da parte loro».

Tra tutte le critiche che ha letto o sentito sul suo programma, che cosa le ha dato più fastidio?
«Non c’è stato qualcosa in particolare. Ripeto, io gli animalisti li ringrazio per il lavoro che fanno. Non mi è invece piaciuto il comportamento di alcune persone, addestratori anche loro, che hanno strumentalizzato il tutto dicendo che questo programma farebbe l’ansia di abbandono agli animali. Il che non è vero perché l’ansia di abbandono, che si chiama tecnicamente ansia da separazione, è una patologia che emerge da altre cose non certo perché il cane va da un’altra parte. Altrimenti dovremmo pensare a un’altra cosa: perché in molti sono stati tutti zitti sul fatto che ogni anno milioni di cani vengono lasciati da soli, in box di cemento, mentre i proprietari vanno in vacanza. Questi cani non hanno dei traumi quando tornano a casa, però hanno dei “dolori di cuore”. Io preferirei una pensione casalinga dove c’è qualcuno. Perché questi addestratori non hanno mai detto nulla su tutto questo? Perché non ci si confronta sotto questo aspetto. In Italia sotto questo aspetto stiamo crescendo, ma ci vuole più professionalità. Se vado sui forum anglosassoni i temi di discussione sono legati al confronto fra professionisti. Nel nostro Paese l’atteggiamento è del tipo “io ho ragione, tu hai torto. Ora vediamo che l’avrà vinta”. Questo è l’aspetto che mi fa più male: ascoltando si può migliorare tutti insieme».
Sono bellissimo...
Gio71@
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