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L'obbligo della Trasparenza avvera la profezia di Orwell

Ultimo Aggiornamento: 07/03/2012 08:36
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Il romanzo apocalittico «1984» e i timori di Berlinguer
Nel 1984, quell'ennesima deformazione di 1984 di George Orwell sembrò ancora una volta il deliberato fraintendimento ideologico di uno scritto politico con cui l'autore voleva raffigurare il Grande Fratello Giuseppe Stalin. Oggi, a quasi trent'anni di distanza, fa però tutto un altro effetto la lettura che Enrico Berlinguer aveva proposto di Orwell in un'intervista a Ferdinando Adornato allora pubblicata dall'«Unità» con il titolo «Orwell sbagliava, il computer apre nuove frontiere». Occasione del ripensamento: in questi giorni l'editore Aliberti ripropone il testo di quell'intervista con un'introduzione dello stesso Adornato, «Enrico Berlinguer tra Orwell e Steve Jobs», e con un nuovo titolo: La consapevolezza del futuro.


Enrico Berlinguer - «La consapevolezza del futuro. L’intervista sul 1984 con Ferdinando Adornato» - Aliberti - pp. 64, € 6,50
Vuol dire riconoscere a Berlinguer un'interpretazione appropriata del testo orwelliano? No, perché gravava ancora sul segretario del Pci il refrain che aveva impedito la diffusione di 1984 in Unione Sovietica e nei comunismi da essa satellizzati e cioè «l'utilizzazione che si fece durante la guerra fredda: anticomunista e antisovietica». Non è che fosse un'utilizzazione. È che Orwell, uomo della sinistra liberale, socialista e antitotalitaria, era proprio ed esattamente questo: un intellettuale anticomunista e «antisovietico». Un merito, non un difetto. Il cupo totalitarismo che lui descriveva era infatti quello comunista. Gustaw Herling, intellettuale polacco che aveva conosciuto gli orrori del Gulag, raccontò lo stupore ammirato dei suoi connazionali che avevano letto clandestinamente il libro: «Ma questa è la mia vita». Ricordava Christopher Hitchens nel suo La vittoria di Orwell che il Premio Nobel per la letteratura Czeslaw Milosz, esiliato in Francia negli anni più cupi del dominio staliniano, usava ripetere: i cittadini dell'Est comunista «si stupiscono che uno scrittore che non ha mai messo piede in Unione Sovietica abbia una visione tanto nitida di come vanno le cose». Dunque è vero che, come scrive Adornato, anche Ken Follett, insieme a Berlinguer, giudicava «errata la tesi che ha voluto leggere in 1984 solo un terribile atto di accusa contro l'Unione Sovietica». Ma è soprattutto vero che il segretario del Pci sposava la tesi dell'Orwell critico dell'incubo totalitario che si anniderebbe non nel comunismo ma nelle «nostre» società del capitalismo tecnologico perché era mosso da un istinto di autodifesa: attribuendo al sistema occidentale un potenziale totalitario che invece, tutto il contrario, si era compiutamente dispiegato nelle società che portavano le stesse insegne proprie del Partito comunista italiano.
Però la ripubblicazione di quell'intervista di Berlinguer ad Adornato, dopo tanti anni, avviene in un mondo totalmente cambiato. E cambiato in modo così inquietante da rendere l'interpretazione berlingueriana meno peregrina, meno autodifensiva, più aderente ad alcuni meccanismi perversi che stanno snaturando le basi stesse delle democrazie liberali dell'Occidente. Il mondo è cambiato non solo perché nel frattempo è crollato il muro di Berlino, e si è estinta l'Urss (e anche il Pci). Ma perché lo sviluppo impetuoso della tecnologia, abbinata a una nuova ideologia intimamente autoritaria ma capace di suscitare un vasto consenso nell'opinione pubblica, ha stravolto alcuni connotati che facevano delle democrazie liberali a economia di mercato società molto più libere di quelle del «socialismo reale».


Lo scrittore George Orwell (1903-50)
Oggi una delle conquiste più preziose della civiltà borghese, la libertà della vita privata, è stata distrutta, rendendo l'esistenza quotidiana dei cittadini molto più simile a quella di Winston Smith, il protagonista-eroe del romanzo di Orwell. L'occhio del potere pubblico oramai non dà scampo: come nella prima scena di 1984 . Non c'è atomo della vita privata che non sia controllata, catalogata, registrata da un potere pubblico armato di tecnologie infallibilmente pervasive e intrusive sino al parossismo.
La carte di credito, ma anche i telepass, le tessere dei supermercati, i bancomat, i microchip dicono di chiunque cosa sta facendo, chi frequenta, cosa consuma, quali itinerari percorre, quali abitudini alimentari ha contratto. La «tracciabilità» di ciascun individuo è totale e senza residui. E non c'è solo un potere centralizzato che controlla tutto, come avviene invece nell'incubo orwelliano. Ci sono tanti poteri che accumulano dati e possono usarli a loro piacimento anche se l'ipocrisia dominante produce tonnellate di carta per onorare norme sulla privacy tanto meticolose, pignole, addirittura demenzialmente dettagliate quanto ignorate nei fatti, trascurate, considerate un orpello inutile. Le agenzie pubblicitarie, intrufolandosi nella vita privata violata dei consumatori, possono scegliere con grande precisione i loro target. Con le intercettazioni telefoniche a raffica chiunque, anche non indagato, può essere sorpreso in una conversazione privata o intima. Con il commercio online, i dati personali vengono messi a disposizione dei malintenzionati. Non importa ciò che accade: importa ciò che potrebbe accadere. Anche se in questo preciso istante nessuno sta ispezionando ogni frammento di un individuo, quell'individuo è comunque alla mercé di qualcuno che un giorno, mutate le circostanze, potrebbe fare un uso ostile o maligno delle informazioni possedute.


Enrico Berlinguer (1922-84)
Non esiste il Panopticon di Bentham, ma ne esistono tanti quante sono le agenzie pubbliche adibite al controllo sociale. Non esiste forse il Grande Fratello, ma esistono tanti fratellini che spiano, origliano, controllano, riferiscono, immagazzinano dati. E tutto questo viene retto da una nuova ideologia sempre più diffusa e morbosa: l'ideologia della trasparenza. C'è sempre una buona ragione, socialmente encomiabile, per esercitare un controllo sempre più asfissiante sulla vita privata: la lotta all'evasione fiscale, o alla pedofilia, o al terrorismo. «Intercettateci tutti» è il motto del nuovo 1984 . «Non ho nulla da nascondere» è il segno della resa, dell'illusione che ad essere colpiti dalla morte della vita privata siano solo gli altri. Mentre la morte della vita privata è l'archiviazione di un'epoca in cui una sfera personale protetta dalle intrusioni del potere pubblico, del potere del vicinato, del potere della società esterna ha elaborato un'arte, una letteratura, una filosofia politica della libertà.

Uomo che guarda video a parete, (Getty Images)
Era questa la differenza fondamentale tra le democrazie liberali e l'assoluta illibertà degli Stati totalitari. La tecnologie e l'ideologia della trasparenza (che si avvalgono del poderoso aiuto dei social network e dei reality televisivi) hanno assottigliato questa differenza fin quasi ad annullarla. Berlinguer non aveva ragione sul comunismo, ma i difensori delle democrazie liberali non avevano ragione quando pensavano che il sistema «occidentale» non sarebbe mai caduto nello stesso abisso dei sistemi a loro antagonisti. La fine della vita privata non era stata prevista in queste dimensioni. E con questa velocità, solo a pochi anni dal 1984.
Sono bellissimo...
Administrafan
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