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IL VAGONE ARNAUD RYKNER

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2012 23:55
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19/02/2012 23:55
 
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Esistono libri che lasciano sgomenti. Il vagone di Arnaud Rykner, pubblicato da Mondadori a gennaio 2012, è uno di questi: una storia di deportazione e di orrore narrata in prima persona da un giovane ebreo ventiduenne.

Un viaggio infernale di tre giorni in treno, iniziato il 2 luglio 1944 dalla stazione di Compiègne, piccola cittadina situata a nord di Parigi, con destinazione il lager di Dachau. Un tragitto di quasi settecento chilometri con il convoglio 7909, composto da ventidue vagoni più alcuni di scorta e uno di coda, che trasporta duemilacentosessantasei esseri umani. Cento persone per ogni carro merci, ammassate come animali, in piena estate ad una temperatura interna di quaranta gradi. Dopo settantasette ore di viaggio, in oltre cinquecento arrivano morti a destinazione. Tre giorni di calvario, senza né cibo né acqua, in mezzo alla sporcizia, agli escrementi, al vomito, al sangue, al fetore emanato dai cadaveri mantenuti in piedi per lasciare più spazio ai superstiti. Ridotti a parvenze di esseri umani, abbrutiti dalle privazioni, dalle indicibili condizioni igieniche, privati di ogni dignità, pronti persino a uccidersi uno con l’altro pur di sopravvivere.

Il libro è piuttosto crudo nel descrivere le scene e gli episodi durante questo viaggio allucinante, qualcosa al di là di ogni possibile immaginazione. La lotta tra i deportati per dissetarsi con qualche goccia d’acqua filtrante dalle intercapedini dei vagoni, con l’aria divenuta irrespirabile sia per il caldo sia per il lezzo emanato dai cadaveri e da chi, madido di sudore, è costretto a denudarsi. Il vagone richiede una sensibilità controllata da parte di chi legge. L’asprezza del racconto e l’angoscia trasmessa ricordano per certi versi, a mio parere, il taglio scioccante e drammatico de I racconti di Kolyma di Salamov. Nel romanzo di Rynker, il primo pubblicato in Italia, l’arrivo al campo di concentramento diventa tuttavia, per triste paradosso, quasi una liberazione dall’inferno vissuto fino al quel momento.

"Questa cosa oscena, dovevo tentarla. Tutto quel che qui è raccontato è vero. Anche tutto quel che qui è inventato è vero. Molto al di sotto della realtà. Non è letteratura." (dall’introduzione).
Perché, allora, avvicinarsi a un libro che certo non diverte, semmai rattrista o inquieta? Perché attraverso pagine come queste, che seppur in forma romanzata rievocano le incredibili atrocità subite da milioni di innocenti ad opera dei nazisti, si mantiene alto il livello di guardia al rischio che l’umanità possa ricadere in quegli abissi di perversione e abiezione conosciuti. Una testimonianza sconvolgente di aberrazione e di follia pianificate.
Sono bellissimo...
Administrafan
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