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Tassi, investitori e garanzie

Ultimo Aggiornamento: 16/01/2012 21:38
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16/01/2012 21:38
 
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Che cosa cambia per il debito
Standard & Poor's, Europa sotto assedio. Una pagella impietosa e piena di pregiudizi

Questa storia sull'Italia ha un antefatto. Il 23 agosto scorso il presidente di Standard & Poor's Deven Sharma si è dimesso e la prima agenzia di rating al mondo ha sostenuto che, ovviamente, le dimissioni di Sharma non avevano niente a che fare con gli eventi delle settimane prima: S&P aveva appena tolto la «tripla A», il massimo dei voti, agli Stati Uniti. Il successore di Sharma, l'ex star di Citigroup Douglas Peterson, ora si sarà chiesto come fare a declassare Parigi senza rischiare di fare la stessa fine. E si è risposto: nascondendo la Francia in un plotoncino di bocciati.

Sarebbe una premura comprensibile. Espellere dalle prime file un Paese del G7, membro del Consiglio di sicurezza dell'Onu, potenza nucleare e sede di una grande piazza finanziaria, è qualcosa che anche il capo di una grande agenzia di rating non può fare alla leggera. L'esperienza di Sharma nei mesi scorsi con gli Stati Uniti ha insegnato al suo successore a prendere meno rischi. Allora il segretario al Tesoro Tim Geithner aveva attaccato l'agenzia di rating per la sua «pessima capacità di giudizio» e il Dipartimento della Giustizia aveva messo S&P sotto inchiesta, sospettata di aver manipolato il giudizio su decine di mutui immobiliari. L'Fbi si è persino presentata negli uffici dell'azienda.

Un antefatto del genere spiega almeno una parte della decisione del tedesco Moritz Kraemer, responsabile dei rating sovrani per l'Europa. Certo non da solo, ma rispettando le procedure dei comitati rating di S&P, Kraemer ha deciso che una bocciatura della Francia avrebbe creato meno contraccolpi se assortita nel declassamento di altri otto Paesi europei. Nel pacchetto c'è anche l'Italia e non è una sorpresa: le prospettive sul giudizio di affidabilità finanziaria del Paese erano negative dal 19 settembre scorso, l'ultima volta che S&P aveva declassato l'Italia.

La sorpresa, piuttosto, è altrove. Quando il nuovo abbassamento del giudizio è arrivato questa notte alle 23, è subito apparso evidente che le ragioni della bocciatura erano diverse da quelle che S&P aveva indicato come fattori di debolezza dell'Italia in autunno. Non c'è coerenza fra gli argomenti che S&P aveva enumerato a settembre (poi a dicembre) e il severo giudizio di ieri: un doppio calo del rating, appena tre gradini sopra il livello «spazzatura», e prospettive ancora una volta negative. A settembre gli analisti dell'agenzia motivarono una bocciatura in arrivo con «rischi per gli obiettivi di bilancio», con «incertezze sull'attuazione di misure a favore della crescita» e con il «blocco della situazione politica» che potrebbe «ritardare le risposte alle sfide». Da allora tutti questi elementi di vulnerabilità sono stati ridotti o eliminati dall'Italia: l'ultima manovra ha blindato il percorso verso il pareggio di bilancio, il governo proprio ora sta accelerando verso le liberalizzazioni e la riforma del mercato del lavoro e la caduta di Silvio Berlusconi ha reso obsoleto lo «stallo» fra i partiti. A settembre S&P aveva persino indicato che se ci fosse stato più «sostegno politico sulle misure per la crescita», ciò avrebbe stabilizzato il rating. Eppure l'agenzia ha declassato l'Italia proprio alla vigilia degli stessi provvedimenti che chiedeva. In seguito, a inizio dicembre Standard & Poor's aveva anche indicato l'aumento dei tassi d'interesse sul debito italiano (e di altri Paesi europei) come ulteriore fattore di rischio: ma ieri, quando l'annuncio è arrivato, gli oneri sul debito a breve-medio termine erano dimezzati rispetto a quando S&P aveva dato il suo avvertimento. L'Italia ieri si è finanziata a tre anni a condizioni migliori sia di quelle di dicembre, che di settembre.

Niente di tutto questo ha modificato la decisione negativa. Anzi, nel comunicato dell'agenzia non si fa quasi menzione dei fattori che in teoria sarebbero stati sotto esame da mesi. Gli analisti del rating, è vero, riconoscono al governo di Mario Monti di aver giocato un ruolo positivo; osservano che la sua capacità di agire per mitigare la crisi «compensa in una certa misura il quadro europeo che si va indebolendo»; danno atto che «deregolare il mercato del lavoro, inclusi gli ordini professionali, può aiutare a ricostruire la competitività italiana». E avvertono che si potrebbe arrivare a una nuova bocciatura dell'Italia «se il governo tecnico non attuerà le riforme strutturali» o incontrerà ostacoli.

Ma in realtà S&P indica debolezze che con le sue stesse decisioni contribuiscono a esasperare. Il grande speculatore George Soros la definisce «riflessività»: gli attori del mercato prevedono un problema, reagiscono dando l'allarme o fuggendo, e con le loro stesse azioni contribuiscono a farlo esplodere. Così S&P indica che l'Italia soffre di una diminuzione strutturale della domanda dall'estero per i suoi titoli di Stato: una «vulnerabilità crescente ai rischi di finanziamento esterno». Ma abbassando il rating dell'Italia, fa sì che questo scenario si autorealizzi. La bocciatura del rating sbarra infatti la strada ai grandi fondi pensione e ai gestori assicurativi che avrebbero potuto gradualmente tornare sul debito italiano grazie al taglio dei deficit, di fronte alla prospettiva di stabilizzazione del debito (anche grazie alla riforma delle pensioni) e ai primi cali nei tassi d'interesse su tutta la curva. Le decisioni di ieri sul rating, proprio mentre il mercato dava i primi segni di un ritorno alla calma, rimettono tutto in dubbio.
Sono bellissimo...
Administrafan
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